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La Conquista di Roma 35


Sangiorgio, gli faceva un piccolo saluto col capo: e mormorava:

«Onorevole».

E non diceva altro, passando. Da questa cortesia continua e da questa continua riserva, l’onorevole Sangiorgio era come imbarazzato e intimidito: avrebbe preferito o non esser salutato, come un estraneo, o discorrere come un collega. Quella correttezza, amabile ma fredda, lo sconcertava, cosicchè, incapo a una settimana, di questi saluti compiti, senza lo scambio di una parola, l’onorevole Sangiorgio aveva finito per arrossire, lievemente quando incontrava il questore, come se costui lo sorprendesse in fallo. Poi, preso da una sfiducia di trovare chi cercava, egli si rifugiava nella sala di lettura, intorno alla grande tavola ovale, dove erano sparsi i giornali quotidiani. Lì, trovava sempre un paio di deputati: un socialista, di Romagna, dalla barbetta biondacastana e dall’occhio mobilissimo dietro gli occhiali, che scriveva continuamente sopra un tavolinetto, lettere sopra lettere, proclami focosi, forse; un deputato vecchio, col pizzo bianco e la faccia rossa, che dormiva sempre, quietamente, in una poltrona, coi piedi