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392 La Conquista di Roma


Il suo sogno lo faceva spasimare d’angoscia, l’incubo gli premeva sul petto, la febbre gli mordeva il sangue, la testa gli girava.

Disteso sul letto, in un dormiveglia, soffrendo e pur godendo del suo sogno, egli non si moveva per paura che tutto s’involasse, anche la promessa di donn’Angelica: e ogni quarto d’ora che passava, nel parossismo, il sogno cambiava d’aspetto, si tramutava, si arrovesciava stranamente, diventava pauroso o comico. Talvolta gli pareva che stesse da tempo immemorabile aspettando donn’Angelica, la quale non veniva mai, mai: le tende bianche erano diventate prima gialle, poi bige; le stoffe si erano scolorite, il tarlo le aveva rosicchiate, cadevano in pezzi, cadevano in polvere; i mobili erano tutti sporchi, cadenti per vecchiaia; in fondo alle giardiniere vi era un po’ di cenere puzzolente che era stata fiore; le mura stesse stillavano umidità e vecchiaia, sembravano danneggiate. Ed egli stesso, Sangiorgio, nell’attesa lunghissima, sembrava diventato un vecchione più che centenario, lento, infermo, con una lunga barba bianca e la vista indebolita. Donn’Angelica non veniva mai, mai; e Sangiorgio continuava ad aspettarla, paziente,