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394 La Conquista di Roma

cui gobba era diventata immensa e il cui sorriso velenoso gli faceva male al petto, come se un succhiello gli cavasse il sangue. Giustini gli sbarrava la via, inarcando le gambe storte, parlandogli di Roma, di Roma che fingeva di dormire nella indifferenza e che era invece bene sveglia: e gli scoteva il braccio, facendogli male. Passava il tempo, passava. Sangiorgio si scioglieva bruscamente da Giustini, correva per Piazza Coonna, quando una voce femminile lo chiamava, da una carrozza ferma. Non avrebbe voluto arrestarsi, ma si sentiva trascinato, suo malgrado, verso quella carrozza: era un paio di occhi neri e scintillanti che lo guardavano con amore e con desiderio, erano certe labbra sanguigne e provocanti che lo avevano baciato e lo volevano baciare ancora, era la mano molle e carezzevole, era il profumo forte e dolce di violetta, era donna Elena Fiammanti che gli aveva voluto bene e gliene voleva, e, quasi senza muovere le labbra, gli diceva:

«Vieni, vieni, rammentati tutto, rammentati quando ci siamo visti, il giorno di Natale, al Gianicolo; rammentati la notte del veglione e la luna a Piazza di Spagna; rammentati le rose che