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428 La Conquista di Roma

si trattava? Questa voce gli sonava confusa nella mente, quelle parole gli sembrava di averle udite altra volta, ma quando? Gli costava uno sforzo enorme il raccapezzarsi: era come colui che, vissuto per un certo tempo in un crescente esaltamento dei nervi, si abbandona poi a una stanchezza profonda, nell’esaurimento di tutte le sue forze. Assisteva a quella seduta, con la testa fra le mani, cercando di afferrare il suono e il senso di tutto quello che vi si diceva, ma era troppo sfinito, un torpore l’aveva invaso, aveva paura di addormentarsi. Uscì nei corridoi, a fumare un sigaro. L’onorevole di Carimate, il simpatico signore lombardo, presidente di una commissione agraria, gli corse incontro:

«Ebbene, Sangiorgio, e la relazione?»

«La relazione... già... quando si sarebbe dovuta presentarla?»

«Ma, una settimana fa: siamo in grave ritardo. Io vi ho cercato dovunque, non avete avuto due miei biglietti?»

«No, nulla,» rispose egli, mentendo.

«E ieri, ci hanno attaccati! Ho dovuto rispondere io, come presidente. Siete stato ammalato?»