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462 La Conquista di Roma

un fanciullo a cui è stata chiusa la porta della casa paterna. Meglio andarsene, come un indifferente, come un cattivo servo che non si ringrazia e non si saluta, che non vuol ringraziare e non saluta.

A un tratto, sulla piazza di Montecitorio, sentì come un vuoto profondo in sè, attorno a sè. Gli pareva di non aver più nulla da fare, di non dover andare più in nessun posto, di non dover più vedere nessuno: tutte le cose, le persone, i fatti avevano subito come una scolorazione. Non voleva nè camminare, nè mangiare, nè parlare, nè pensare, tutto gli sembrava inutile, tutto: istintivamente si recò all’Angelo Custode, nel vecchio quartierino dove l’estate accumulava tanta polvere, e al nauseante odore dei bacherozzi univa tutti gli altri cattivi odori che venivano dal cortiletto; là si buttò sul letto, bocconi, con la faccia morta nei cuscini, con le mani abbandonate, nella inerzia mortale. Non aveva cercato di rivedere Angelica: a che sarebbe servito? Forse che qualche cosa in lei o nell’amore si sarebbe mutato, rivedendola?

Tutto era inutile, tutto. Aveva un forte debito col tappezziere, un altro con una banca popolare