Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/124

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118 la mano tagliata.


— Torniamo indietro, non esponiamo Héliane a un pericolo, — rispose Roberto, preoccupatissimo.

— Questa è una partita perduta, — replicò Ranieri.

Pure, le carrozze correvano. Quella dei perseguitati era lontanissima e già passava sul piccolo ponte che cavalca l’Aniene. A un tratto sparve e nessun rumore s’udì più.

— Fermate, Luigi, — disse Héliane prima di giungere al ponte.

— È caduta nel fiume, la carrozza, — disse Ranieri, sogghignando.

Non un’ombra, non una casa, nella campagna il deserto e il piccolo Aniene che lo attraversava. Sul ponte, i tre si guardavano, muti. Dove era, dunque, scomparsa la vettura? Che era accaduto di essa e dei suoi viaggiatori? Dove cercarli?

Stavano, così, istupiditi, quando, improvvisamente, sbucando dalle tenebre della via, la carrozza riapparve al galoppo e passò rasente loro, come una freccia, tornando a Roma.

Era vuota.

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Un profondo silenzio regnava nella piccola casa di Mosè Cabib, al vicolo del Pianto. Come al consueto, il vecchio rivendugliolo era rientrato in casa verso le nove, aveva cenato mutamente, insieme a sua figlia Rachele e al suo misero commesso. Taciturna, la bella figliuola dell’ebreo non aveva aperto la bocca, tutta raccolta nei suoi pensieri.

Mosè Cabib sembrava molto preoccupato da vari giorni. Due o tre volte era rientrato improvvisamente nella sua casa, guardandosi attorno con occhio sospettoso, indagando, come se temesse di trovare qualche nemico appiattato in casa. Invece aveva ritrovato Rachele intenta a qualche suo mirabile lavoro di ricamo, in cui la fanciulla eccel-