Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/20

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14 la mano tagliata.

mustacchi biondi, era livida, con una espressione di sofferenza.

— Anche egli crepa di freddo, — pensò Roberto.

Adesso il treno ballonzolava più rapido sulle rotaie, ma l’ultima ora di viaggio fu eterna, per Roberto Alimena. Si sentiva male, pel freddo: non osava neanche levarsi, per prendere un’altra volta il cognac. E mentre egli soffriva nelle sue pellicce, pensava che, sotto tutta quella lana, forse il suo vicino tremava di freddo. Difatti, costui, per quel poco di viso che si vedeva, pareva un morto: un morto con gli occhi aperti.

— Se muore qui, io non lo soccorro davvero, — mormorò fra sè Roberto, spaurito all’idea di dover muovere solo una mano.

Infine, infine, la stazione di Segni apparve e man mano si sgranarono gli ultimi minuti che dividevano il treno da Roma. Con uno sforzo veramente lodevole, Roberto si cavò il berretto, quasi battendo i denti, ma non osò smuovere la persona di sotto le pellicce. Vi era tempo!

— Roma, Roma, Roma, — gridarono i ferrovieri.

Lo sconosciuto, per il primo, si alzò. Roberto Alimena che si era levato dopo lui, vide un uomo piccolo, magro, mentre lo aveva supposto alto e forte: vide che il paletot grosso male nascondeva una gobba sulla spalla sinistra.

— Gobbo! Buona fortuna! — disse Alimena, che era italiano e superstizioso.

Lo straniero non toccò il suo berretto, andandosene, non salutò, non si voltò: ritto nel vagone, mentre chiamava due facchini, Roberto lo vide sparire tra la folla, col suo plaid sul braccio. In questa, era accorso il conduttore:

— Lei mi scuserà, signore, — disse — ma quel viaggiatore non ha voluto udir ragione.