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208 | la mano tagliata. |
— E lo seppi da un servo, sotto un portone, e mi fu soggiunto che era in casa di lei, della contessa Loredana.... Io non vi andai!
— Faceste bene.
— Ma quanta è stata la mia angoscia, o madre, non la potete immaginare. In cinque minuti, crollate tutte le mie speranze, senza più padre, senza più sposo, senz’amore, senza casa, senza nulla, mia madre, in cinque minuti.
— Dio! Dio! — mormorò la vecchia monaca che si era lasciata prendere anche lei da quel soffio ardente di dramma.
A capo basso, la novizia era assorbita dalla rinnovata tetraggine dei suoi pensieri. L’occhio vivido era secco; s’intendeva che ella non piangesse mai, nelle ore di strazio, sofferendo mille volte di più. Tutta l’alterezza di un animo nobile e fiero spasimava innanzi a quel tradimento, a quell’abbandono, ma non si arrendeva.
— E che faceste, allora?
— Non so.... non so bene dirvi, il mio stato. Mi vidi perduta. Non avevo che quella misera serva, ignorante, contadina, rozza; eppure, essa mi salvò.
— Essa?
— Sì. Dio agisce per vie così umili! Ella conosceva un ritiro di dame sole, quasi monacale: vi andammo. Non volevano accettarci. Ma quando seppero che ero ebrea e che volevo farmi cristiana, ebbero pietà di me e mi tennero. Ma rimasi colà in preda al più grande dolore e al più grande spavento.
— Temevate quell’uomo?
— Sì! Ero straziata per il tradimento di Ranieri e avevo una paura orribile del gobbo.
— Rimaneste in quel ritiro?
— No. Mi avrebbero scoperta. Da sicuri indizi ero certa che mi cercavano alacremente.