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332 la mano tagliata.

Un terrore mistico invase l’animo del giovane gentiluomo romano, poichè egli pensò che la passione terrena del cuore di Rachele Cabib s’era tutta trasformata in vocazione religiosa. Era stata una donna fiera e ardente la fanciulla ebrea, e come prima non aveva amato che Ranieri Lambertini, adesso si era data completamente a Dio.

Egli passò tre giorni in uno stato di abbattimento profondo, nella sua casa di Roma, presso suo zio, che lo adorava e che non trovava modo di consolarlo di questa estrema disfatta. Ma, come il supposto giorno della monacazione si appressava, nell’accasciamento dell’innamorato, una ribellione feroce sorgeva contro il fatto, che si andava a compiere; e un desiderio folle, invincibile, lo teneva di impedire questa catastrofe del suo amore, anche a viva forza. Una quantità di romanzi medioevali gli giravano per la mente, in cui gli amanti forzavano le porte dei monasteri, e rapivano la donna del loro cuore, in una notte buia e tempestosa.

Egli era preso dallo stesso delirio di colui che si vede morire dinanzi una persona e, a tutti i costi, vuole strapparla alla morte, una di quelle rabbie impotenti, che conducono l’uomo al suicidio o all’omicidio.

Anzitutto, nessuna forza umana, neppure il tenero affetto di suo zio, potè trattenerlo in Roma. Gli pareva, che a Napoli morisse qualcuno, e che la sua presenza in questa città avrebbe potuto portare un qualche espediente terribile alla terribile situazione in cui egli si trovava. Almeno, a Napoli, avrebbe potuto rivedere Rosa, la povera donna che era stata la confidente migliore di quell’amore; almeno avrebbe potuto andare sino alla porta di quel monastero, dove si sarebbe seppellita per sempre, con Rachele Cabib, ogni sua felicità. Avrebbe potuto, in un’ora di delirio, battere alla