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58 | la mano tagliata. |
— Io non ho che te, Rachele.... — egli disse, con voce tremante.
— Solo me, è vero, — ella mormorò, con accento enigmatico.
— Così povero, così vecchio, così malato! — e curvava anche più la persona, quasi a dimostrare la sua triplice miseria.
— Va a letto, padre, va, va! — ella soggiunse, con voce carezzevole, come si fa a un bimbo infermo.
— E tu?
— Andrò anche io.
— Tranquilla?
— Sono sempre tranquilla. —
Ed ebbe uno strano sorriso.
— Dormirai?
— Se posso, sì.
— Non leggere per tante ore, Rachele. Questi orribili libri dei cristiani! Tu detesti i cristiani, è vero?
— Io? — ella gridò.
— Dimenticavo che ne ami uno, — egli disse, amaramente. — Ma gli altri?
— Io non ne odio nessuno.
— E il Maestro, perchè lo odii?
— Padre, va a letto, va! —
Egli sospirò, profondamente. Si levò e trascinando il passo, andò vicino a sua figlia. Le impose una mano sulla fronte, per benedirla, come faceva ogni sera.
— Che Jehova ti benedica, Rachele.
— Dio, — ella ripetette, senz’altro, chinando la fronte.
Il vecchio accese una misera stearica e si avviò alla sua stanza, che era contigua alla stanza da pranzo. Lo si sentì chiudere la porta a chiave e spingere il catenaccio. Ogni sera, Mosè Cabib si barricava così. Rachele, dopo un minuto di aspet-