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Ardore, della sua prima ebbrezza materna. La visione scomparve e il più cocente dolore travolse la madre, scorgendo che la folla si era aggruppata, in stretto e folto cerchio, attorno al suo Fausto: e il giovane la dominava, questa folla, con la sua statura imponente, con la sua voce sonora e pur emozionata, con la sua parola bruciante di una vampa, che tutto faceva scintillare e ardere. Non poteva distinguere le parole, dall’alto verone, la madre, ma la voce del suo figliuolo, del suo primogenito, ella la percepiva, ne era penetratà, ne era pervasa, ed ecco, si sentiva inchiodata su quel ferro del verone, come sulla croce, spasimando, volendo fuggire, ma restando immota, irrigidita. Un duplice urlo della folla le giunse, altissimo: Viva la guerra, viva Fausto Ardore! Queste parole clamanti, salienti sino al cielo, la schiodarono, la liberarono, la fecero sparire dal verone, a capo basso, a denti stretti, a labbra strette, in camera sua, facendo sbattere i cristalli, sbattere le imposte, sciogliendo con mani frementi le portiere dai loro lacci, per meglio difendersi, per meglio isolarsi, Si abbattè in una poltrona, presso il suo scrittoio, si abbattè su quello, col volto chiuso fra le mani, senza piangere, senza singhiozzare, piegata in due, quasi spezzata in due. La casa si riempì di un rumore di porte schiuse, di passi frettolosi, i battenti della camera si spalancarono, sotto una mano nervosa e Fausto Ardore, anelante, ansante, corse a Marta, le si buttò avanti, in ginocchio, l’abbracciò alla vita, la strinse, gridando:
— Madre! Madre! Madre!
Le inerti braccia materne non si distesero, come sempre, a cingere il collo del figliuolo; le bianche mani materne, non ne toccarono la folta chioma scarmigliata, a ravviarla, a carezzarla: il viso materno, marmoreo, si volse verso quello del figliuolo,’ ove la violenta emozione persisteva, negli occhi allucinati, nel palpito delle nari, nelle chiazze rosse del bianco viso, nella bocca schiusa,