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— Non so degli altri — risponde, deciso, l’artigliere. — So come sono stato preso io.
Aggrotta le sovracciglia, il capitano, e batte un colpettino con una stecca, sovra il tavolo. La fermezza di colui che ha davanti, lo irrita perchè, per lui, il prigioniero è o un vile, o un traditore.
— Come sei stato preso, dal nemico?
— Insieme al mio capitano, Giulio Lamarra e al mio compagno Sebastiano Garda.
— Il capitano anche è stato preso? — e la sorpresa disdegnosa, si svela nella domanda.
— Signorsì. È stato un anno, prigioniero, come me. E per due mesi la sua famiglia l’ha creduto morto.
— Meglio morto che prigioniero — mormora, fra i denti, il capitano Moles, — Andiamo, di’, come vi hanno preso, tutti tre?
— In quella terribile prima giornata, eravamo giunti a salvare il nostro pezzo, incitati dal nostro capitano, che preferiva morire, anzi che lasciare il suo pezzo al nemico... Eravamo salvi, noi e il pezzo, per un miracolo: ma il capitano si è rammentato, che vi erano rimaste abbandonate due casse di munizioni: e ha voluto andare a riprenderle... Abbiamo ripassato il ponte: abbiamo ritrovato e ripreso le due casse: ma, al ritorno, il ponte era stato tagliato: e siamo restati di là, fra i nemici che sovraggiungevano.
— Chi aveva tagliato il ponte?
— Il signor capitano lo sa. Gli italiani — e abbassa gli occhi, l’artigliere e non aggiunge verbo.
— Vi è nulla, nelle carte, di tutto questo, tenente Dellacasa? — chiede, pianissimo, il capitano Moles.
— Qualche cosa — risponde, anche pianissimo, il tenente. — Ma io conosco Giulio Lamarra: un valoroso.
— Già: ma è stato inutile, il suo valore — conclude Moles, a fior di labbro.
— Siamo stati presi, per il notro dovere, signor capitano — osa dire De Domenico Vincenzo. — E pel nostro capitano, ci saremmo fatti uccidere.