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38 giuochi


arrivavamo, arrampicandoci per le ripide scalette di legno; la grande loggia del primo piano, piena di maggiorana e di basilico; avevamo la dispensa del cortile dove si conservavano i salami e i formaggi; avevamo i granai, festa della nostra infanzia, dove rotolavamo giù dalle montagne di grano, dove affondavamo nelle montagne di granone, dove mangiavamo l’uva secca e le mele acerbe. Era una corsa attraverso le stanze, un precipizio per le scale e le scalette, un galoppo di puledri sull’asfalto, una tromba rumoreggiante, squillante, ridente, attraverso la malinconia della casa.

Il preferito fra i giuochi, come dappertutto, eri a capinnascondere. Con molta gravità ci mettevamo in cerchio nella stanza da pranzo e tiravamo a sorte, quello che doveva star sotto. Se capitava a una bambina, faceva il muso e se ne andava borbottando a mettersi in un angolo, col viso rivolto al muro, con gli occhi chiusi per non vedere; se era un maschio, faceva il disinvolto e il sicuro di sè. Dopo es-