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138 storia di due anime


Domenico Maresca non rispose. E, sul volto, gli si vedeva la tortura che subiva per quell’interrogatorio; ma, strano a dirsi, anche il desiderio morboso di non troncarlo.

— Ma ti vuol bene, Anna? Ti vuol bene?

Alla domanda incalzante, egli seguitava a non rispondere. Un’aspra ambascia lo soffocava: ma in quell’ambascia, almeno, egli poteva concentrare tutto quanto aveva sofferto in quel giorno, tutto quanto aveva sofferto in un anno e mezzo. A quella povera ragazza, diventata una creatura perduta, a quel povero essere dalle guance brucianti di rossetto, dall’acconciatura equivoca, che ronzava, sola, in quell’ora tarda, in quel quartiere di piacere, egli sentiva di poter denudare il suo cuore, senza tema di esser deriso, senza tema di esser beffato.

— Anna non ti vuol bene? — chiese ancora, lei, con la insistenza della pietà, della tenerezza.

E, infine, come non lo aveva mai detto a nessuno, come non lo aveva confessato mai apertamente, neppure a sè stesso, come lo aveva detto solo al Signore, nelle sue orazioni, Domenico Maresca, a Gelsomina, che non si chiamava neppure più così, portando, oramai, solo il nome di Fraolella, portando solo il soprannome di una di queste disgraziate donne, a Fraolella, rispose questo:

— No, Anna non mi vuol bene.

Un silenzio tragico regnò fra loro.

— E allora, allora — lo interruppe lei, alzando la voce, come per protestare contro il Destino — allora, è stato inutile che tu la sposassi?