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156 storia di due anime


cipitare da lassù, stendendosi, ritraendosi, curvandosi, sempre con gesti di riverenza, verso la santa effigie che essi rivestivano, compirono la più difficoltosa operazione, quella del collocamento del magnifico manto, dal capo sulle spalle, sulla persona, sino ai piedi, fermandolo, solidamente, sotto i ganci della crociata corona di argento massiccio, messa un poco indietro, sul capo levato, componendolo con pieghe fluttuanti, innanzi, perchè tutto il ricamo si vedesse bene, raddoppiando la ricchezza del ricamo della veste, e arrotondandolo, sino giù, sull’abito. E, dall’alto, Domenico Maresca, parlando per la prima volta, a voce bassa e tremante, disse a Gaetano Ursomando:

— Dammi le spade.

Costui gli porse, subito, le sette piccole spade, da configgere sul petto del simulacro, in sette aperture, appositamente praticate nel busto dell’abito. Ma, prima che egli ne configesse una sola, la ricamatrice lo arestò, dicendogli:

— Diciamo i Misteri dolorosi.

E, Domenico Maresca, Raffaellina Galante, le due giovani ricamatrici, lo stuccatore, lo storpietto, a ogni spada che era fitta nel petto della statua, dicevano uno dei sette Misteri dolorosi e come l’ultimo finiva, l’ultima spada, completando la raggiera, aveva trafitto il cuore della Madre Addolorata. Con un moto rapido, il pittore dei santi mise il fazzoletto di battista, a fiocco, nella mano distesa della statua. — Tutti si segnarono novellamente. La vestizione era fatta.