Pagina:Serao - Storia di due anime, Roma, Nuova antologia, 1904.djvu/182

Da Wikisource.
180 storia di due anime


di sgomento, di stupore, non sapendo che cosa dirgli, comprendendo, così, vagamente, che nulla potevano dirgli e che nulla egli poteva udire. Avevano vegliato con lui, come si veglia con uno sventurato che ha perduto una persona amatissima, rapitagli da un destino avverso: senza parole, con movimenti cauti e lenti, lasciando trascorrere le ore. Per prendere un boccone, morenti di fame, come erano, verso la sera, uno alla volta, erano usciti, si erano allontanati, dandosi il cambio: e dal non aver egli neanche risposto, all’offerta di portargli qualche cosa, dal non aver neanche udito, forse, le loro discrete e umili insistenze, essi si eran convinti, che era meglio lasciarlo stare, immerso nel suo muto e atroce dolore. E quando egli li aveva rinviati, la sera, nel momento che principiava la tempesta di primavera, essi non avevano chiesto di restare, avevano obbedito, come erano avvezzi a obbedirgli, sempre. Così mentre la pioggia imperversava, colpendo i vetri delle impannate e il vento ne faceva scricchiolare i cardini, Domenico Maresca era solo, con i gomiti puntati sul tavolino e il volto nascosto fra le mani; solo, assorto, perduto nella vastità di uno strazio muto.

Nè udì schiudere la porta, verso le dieci e mezza di sera, mentre, furiosamente, acqua e pioggia entravano dall’uscio e quasi spegnevano il fioco lume a petrolio; nè vide la donna che entrava, richiudendo subito con la chiave, e posando, in un angolo, un ombrello stillante di acqua, nè la vide asciugarsi con un fazzoletto le vesti tutte bagnate, pas-