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storia di due anime 43


— Io ho appetito — rispose Gelsomina, piano. — Ma non sempre, ho appetito. Allora, siccome mammà mi dà tre o quattro soldi per la cena, io me li conservo.

— E brava! — disse il pittore di santi, con un lieve sorriso. — Hai denaro da parte, allora.

— Mai niente! — esclamò ella, ridendo un poco. — Appena ho due o tre lire, io le spendo.

— E che compri?

— Tante cose! Un metro di setina per farmi una cravatta; un fazzolettino fine; una broscia; un po’ di merletto per le camicie.

— Ti piace di comparire, eh? — le chiese bonariamente il pittore dei santi.

— Assai! — diss’ella, con un lampo schietto di vanità, nei grandi occhi. — Mi piace assai! E non posso comparire: sono troppo pezzentella, Mimì.

Una malinconia le velò il delicato viso pallido, una vera malinconia puerile, di bambina delusa nelle speranze e nei desiderii.

— Perchè te ne affliggi tanto, Gelsomina? Fai all’amore, non è vero?

— Io? Io? — proruppe lei, arrossendo tenuemente, sotto la pelle fine del volto.

— Me lo hanno detto — soggiunse lui, per scusarsi, col suo solito tono di bontà. — Si dicono tante cose...

— Sono bugie — rispose lei, un po’ lentamente, abbassando le palpebre sugli occhi. — Sono tutte bugie. Io non amoreggio con nessuno.

— Tanto meglio — disse lui, per conchiudere.