Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
storia di due anime | 45 |
— Già... — disse lei, dopo una pausa. — Dovrei essere una pazza, a fidare nelle chiacchiere dei signori.
— E non le ascolti, non è vero, Gelsomina?
— Non le ascolto, Mimì, quando posso — continuò lei, pensosa, esitante. — Non sempre, posso. Certe volte, quando io mi nascondo, mentre passa don Franceschino, mammà mi sgrida.
— Mammà?
— Eh, sì! Dice che è il figliuolo della padrona di casa; che noi siamo dei poveri portinai; che non bisogna essere screanzati; se no, ci mandano via.
— E tu che rispondi?
— Non rispondo nulla, certe volte. Quando sono di malumore, rispondo male, che non ho voglia di amoreggiare con don Franceschino, per farmi corbellare da lui, e che se si deve mangiare quel pane, io preferisco il digiuno.
— E mammà?
— Qualche volta mi schiaffeggia.
— Per questo?
— Per questo.
E con un accento semplice e profondo, la ragazza concluse:
— Tu lo sai, Mimì, che essa non mi è madre.
— Povera Gelsomina! — soggiunse lui, con un accento di vera pietà.
La ragazza chinò la fronte e tacque. Aveva disciolto, parlando, il nodo, sotto il mento, del suo scialletto nero e lo aveva arrovesciato sulle spalle.