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storia di due anime 55


mente vedova, con cinque orfanelli; e un epilettico, noto in tutto il rione, smorto, dalla faccia contratta, coi capelli rossi e ispidi. Tutti questi mendichi si erano arrampicati per i gradini delle scalee, guardati di traverso, vituperati dai mendicanti consueti di santa Maria la Nova. E famiglie borghesi, tornanti dalla messa di Pasqua, si eran fermate, fra il popolo: ragazze che si tenevano a braccetto, già libere dei mantelli invernali, mostranti il vitino sottile, alcune; altre grosse e goffe, accanto a madri scarne e scialbe o enormi come botti, accanto a padri vestiti dei panni domenicali, silenziosi, pazienti, un poco stanchi, ma pazienti.

E le campane di Pasqua suonavano, a distesa, più vibranti in quel quartiere che unisce Napoli aristocratica a quella borghese e popolare, in quel quartiere pieno di chiese, quasi tutte molto antiche: e l’orecchio, abituato, avrebbe potuto, nell’aria lieve primaverile, distinguere la voce sonora di san Giovanni Maggiore, dalla musicale campana di santa Chiara, mentre le altre, minori, mandavano i loro squilli, dalla parrocchia della Rotonda, da san Bartolomeo, da santa Barbara, dall’Ecce Homo; e tutto era intonato gaiamente, più fievole, più forte, lontanissimo, lontano, vicino. Un’aria di festa, invero, era, non solo nella giornata d’aprile col suo sole già tiepido, col suo scampanìo giocondo, ma era, anche, nella folla ondeggiante, nei panni chiari onde donne e uomini erano vestiti, nelle risa delle giovani e dei bimbi, nel grido dei venditori ambulanti che offrivano le viole di Pasqua bianche e