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distinse che una figura non alta, ma snella; e vestita bene, gli parve:

— Chi mi vuole?

— Sono io, Domenico — disse una voce soave, quasi cantante, ma già velata; e un volto noto gli apparve.

— Gelsomina, sei tu! — esclamò lui, sorpreso e turbato.

— Io, sì — soggiunse la fanciulla, con tono anche più fievole, di voce, ma in cui persisteva l’antica armonia, l’antica dolcezza.

Egli la squadrò, con curiosità affettuosa, e con tristezza. La fanciulla era molto mutata. Mentre, prima, le sue vesti parevan fatte di tanti straccetti carini ma miseri, guarnite di merlettini a quattro soldi il metro, con gonne troppo corte e camicette esigue, mentre ella, prima, portava delle cinture di settantacinque centesimi e delle cravatte fatte con un brandello di seta, ora ella indossava un bel vestitino di lana azzurro cupo, con uno sprone di seta avorio, tutto bene aggiustato alla sua svelta personcina; il collo era adorno da una catenina di oro, con una crocetta d’oro opaca; due perline, in una montatura d’oro, alle piccole orecchie: nelle mani, una borsetta di pelle, ricamata di acciaio. Ma ciò che la rendeva così differente, assai differente, da prima, era una cosa nuova, nuovissima, sulla sua figura: il cappello, cioè, il cappello che non aveva mai portato, per diciotto anni della sua vita, e che ora ella aveva adottato, il cappello che è il segnale più certo che una figlia del popolo si

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