Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/117

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la grande giornata. 107

i redattori troppo altieri, troppo aristocratici, che non si degnavano di farsi vedere, quasi mai, che capitavano un momento in direzione, poi andavano via subito, chiamati al Parlamento, alle Commissioni, agli affari, gente che faceva il giornalismo per svago, per diletto, per una soddisfazione dello spirito, ma da signori, inafferrabili, inaccessibili. Si rammentava di dieci o dodici anni prima, del giornalismo che faceva suo padre, passando dieci ore al giorno in ufficio, sempre a lavorare, sempre con la porta aperta, dovendo dar retta a tutti, contentare tutti, a rischio, in caso contrario, di far perdere la popolarità al giornale, temendo sempre di scontentare l’abbonato, facendo di tutto per attrarre il lettore: giornalismo umile, pedestre, fatto da lavoratori oscuri, che non firmavano i loro articoli e che combattevano quotidianamente col pezzo di dieci franchi. La differenza era grandissima, il passo fatto in dieci anni era enorme: e quando pensava a questo nucleo di scrittori felici, dove i toscani portavano l’arguzia e i napoletani il fuoco, padroni delle loro idee e del pubblico, paradossastici, indipendenti, compensati lautamente, una pietà profonda gli veniva per quel povero morto, strappato dall’articolo e buttato nella fossa. Un coupé, talvolta, saliva al trotto per Piazza Montecitorio,