Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/344

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334 una catastrofe.

tiva un acre odore di burro soffritto, quell’odore fitto delle trattorie milanesi: e in quella stanza bassa, le mosche ronzavano pesantemente. Il cameriere li serviva con un’aria addormentata, con un vago sorriso. Antonio Amati, tutto esaltato ancora dell’articolo interrotto, mangiava assai poco: e Riccardo Joanna mangiava pochissimo, con la più pallida cera di uomo nauseato, a cui nulla fa venir più l’appetito.

“Che bettola!” disse a un tratto, respingendo il suo piatto.

“Perchè non va altrove?” chiese Antonio Amati.

“Tutte bettole, tutte bettole!” borbottò Joanna.

“Avevo letto.... in un giornale, credo.... in un giornale di provincia, che ella andava al Cova, con altri colleghi suoi.... vi era anzi la descrizione di un banchetto....”

“Può darsi,” fece Joanna, duramente.

“Scusi,” mormorò Amati, con civiltà.

“Quella è bettola più elegante,” riprese Joanna, “ma su per giù, vale questa. È più pulita, ecco: ma tutte sono nauseanti.”

“Perchè non pranzare a casa, allora?”

“Oh questo, mai! Un giornalista pranza talvolta a casa, ma non vi fa mai colazione.”

“E la famiglia?”