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Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. I, 1972 – BEIC 1924037.djvu/313

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LXXI


L>e giovane che nella brigata erano, con gran fatica ritennero che l’ilarità non dimostrassero per la dilettevole novella, ma pur l’onestà della brigata le strinse, spettando tempo di potere di tal piacere prendere ristoro. Il preposto e l’altre brigate si puosero a sedere, li stormenti sonando preseno <le danz’e> fine che al preposto piacque ballarono. E fatto silenzio, fe’ alcuna canzonetta a’ cantatori e cantarelle cantare in questo modo, cioè:

«Amor, s’i’ son dalle tue man fuggito,
non ti doler di me ma di costei,
che ’n pena mi tormento servendo lei.
E non pensar ch’i’ sia mai più scernito
da te e lei, ben ch’ella stia nel volto,
ché redire in pregion, <chi n’esce>, è stolto.
Chi libertà cognosce quant’è cara,
chi la smarrisce a ritrovar l’apara».

E ditta, intanto la cena aparecchiata fu e di buona voglia cenarono e con allegrezza andarono a dormire fine alla mattina. E datosi a vedere la nobiltà di Napoli tanto che fu l’ora del desnare, e desnato, lo preposto a l’altore comandò che quando innel giardino fussero, dicesse alla brigata una novella. E così, danzando innello giardino funno asettati dove l’altore disse: