Pagina:Sermoni giovanili inediti.djvu/60

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56 sermone sesto.

     O dieci cinque, ed a quel grado in cima
     Tutti salgono pronti e fermi stanno;
     335Che lo sbalzarli inutil fôra, come
     Se neghi all’onda di cercare il piano.
All’appetito indomito prevalga
     Il lume di ragion, che non consente
     Gl’improvidi connubi, onde la speme
     340Dei cari figli nel paterno lutto
     Tosto si volge. La baldanza cieca
     Colla pallida inopia intorno gira,
     L’aura assordando di frementi strìda.
     Chi nell’immondo suo lezzo si accascia
     345Novello bruto; chi misero langue
     Non estinto nè vivo, e chi si getta
     Ferocemente colle mani ladre
     A dar nel sangue e nell’aver di piglio.
     Io so che l’arte, il senno e la fatica
     350Di nove mèssi biondeggiar faranno
     A nuove genti la deserta arena,
     O la maligna e livida maremma.
     Ma lunga è la fatica, e l’arte è lenta,
     E tardo il senno, od il soccorso vano.
     355So, che il commercio libero dispensa
     Ad una schiera quel che all’altra avanza;
     Ma se l’umana razza ogni confine
     In ogni parte traboccando ecceda,
     Non uscirà dal pelago profondo
     360Ignoto campo che maturi al Sole
     Novelle biade. Lacera e digiuna
     Dunque al soffrire più che al viver nata
     Sarà la plebe pullulante e sozza?
     Il prevedere e il prevenir si dona
     365A noi, cui l’immortal raggio balena
     Nella mente, che vede e vuole e sceglie,