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110 scritti di renato serra


Dopo questo tentativo il Panzini seguitò a far l’insegnante; e a scriver novelle. In quanto ai tormenti del suo spirito, egli non si provò più a risolverli col pensiero; ma, avendoli accettati con rassegnazione, si volse piuttosto a svilupparli e assaporarli con una sincerità fra dolorosa e curiosa.

Le novelle sono, con le loro qualità preziose di narrazione e di rappresentazione, talora un divertimento, talora uno sfogo dell’autore. Sovente si tratta di saggi, variazioni, divagazioni mi po’ fantastiche e un po’ sentimentali; ma anche quando della novella c’è la favola e la forma esteriore, non c’è quasi mai lo spirito vero.1 L’interesse dell’autore non è nei personaggi, di cui gli accade di raccontarci la storia; è nel suo proprio cuore. La voce di lui parla su bocche diverse; la sua narrazione è sopra tutto un lungo e meditativo soliloquio, variato a tratti di immagini e di figure leggere.

E tornano in campo le preoccupazioni politiche e sociali; «un uomo in due» domanda quale sia il valore dell’ingegno astratto e selvatico, se v’abbia un diritto sociale di sfruttarlo praticamente. Altrove s’affaccia il problema della fami-

  1. Molto mi duole di non aver saputo far posto se non in una nota a La bicicletta di Ninì, una fra le prime e più gentili cose del Panzini. Qualcuno direbbe forse che la materia, come di novella, è assai tenue; e non è più che la descrizione di una corsa notturna in bicicletta, in cui la piccola anima affettuosa e coraggiosa di un giovanetto si empie mirabilmente di ombre e trascorrenti splendori lunari, e di fantasmi confusi nell’ansito e nel volo. Tutto questo è vivo in una pagina di prosa felice, scritta dal Panzini col suo animo solito, ma in un momento più felice del solito.