Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/166

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alfredo panzini 119

come gli andava detta, si correva il rischio di mutare il proprio ventre in cuscinetto per quello spillo.

«E tacqui.

«Mi sdegnai col mio silenzio, eppure tacqui. Fare il vero profeta è cosa difficilissima».

E qui si vede bene l’ironia che è in fondo, nella confessione; si sente anche in qualche punto, nel cuscinetto, per esempio, e nella citazione dei geniali studi, una arguzia più desiderata che ottenuta. Questo è uno dei difetti dell’uomo; un modo di parlare ostentatamente umoristico e spesso alquanto goffo, del quale non sarebbe difficile dare la ricetta, fatta per lo più di contrasti verbali, e di inflessioni, o solenni, o umili, studiosamente discordate dal l’argomento.

Sono in genere frasi a doppio effetto, come questa, che è titolo a un capo della Lanterna: «Casetta mia (d’affitto)»; o anche, simile, ma con la parentesi intenzionalmente pedantesca, «la più bella luna che mai l’Agosto abbia veduto nascere (dopo quelle descritte da Virgilio)»; oppure, calcando sopra un contrasto assai banale, «Il Dorè avrebbe invidiato quel paesaggio pe’ suoi fantastici disegni! — (notate l’esclamazione) — L’Ariosto l’avrebbe popolato di maghi e di fate.

«Era semplicemente il paese delle Anguille».1

  1. Questo finale è un poco più felice, pur con la sua ingenuità alquanto manierata:
    «— E anche lei lavora nella carne suina con le mani? — chiesi io.
    «Ella levò il sipario delle palpebre che coprivano quelle languide pupille di viola, mi avvicinò al volto le affusolate mani di marchesa, e disse:
    «— Anch’io lavoro nella carne suina! — ».