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132 scritti di renato serra

degli svolgimenti, è conseguita da lui in misura molto scarsa. Gli fa difetto la facoltà periodica del dire. Egli parla di solito a tratti brevi, fermandosi in tronco e riprendendosi con moti bruschi e molto disuguali. Grammaticalmente questo si vede nell’uso di periodi corti, a membri staccati fortemente; anche quando se ne incontri qualcuno più diffuso, poi si trova che è un artificio tipografico; che ha sostituito il punto e virgola o i due punti al punto fermo. Le proposizioni sono poco annodate; l’uso dei pronomi relativi è raro e malsicuro in quella prosa legata soltanto dagli e e dai ma. Abbondano invece le ellissi, i modi assoluti. «La vera filosofia è meglio rappresentata dall’indice posto sulle labbra: il silenzio!», Questa e la forma più consueta della sua esposizione. Aggiungete altrettanta abbondanza di parentesi, di episodi intramessi bruscamente col solo artificio delle lineette; aggiungete l’abuso dei cioè, dei perchè, dei punti esclamativi ed avrete la fisionomia stilistica del Panzini quasi compiuta. Quel che manca è soltanto un non so che di duro e di scheggiato, una cert’aria rozza che fa meraviglia in uno scrittore così bene educato. Si notano delle sprezzature, che vanno fino alla negligenza, fino alla difformità. Il vocabolario mescola a tratti alla sua materia pulita le scorie più comunali. («Questo singolare fenomeno illusorio avveniva in me perchè in quell’ora il fresco maestrale della contentezza....», «bene potevano rappresentare la storia evolutiva di quella famiglia», sentite la dissonanza? e così trovo una «emotività patologica», un motore minuscolo che «produce di più che tutto l’impeto....», una conferma della salute domandata «per il domani della vita» e via via).