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Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/186

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alfredo panzini 139


«Nel tragitto dalle Stiviere a Modena quante deliziose ville occultate nel verde dell’ubertosa campagna, come ninfe entro i boschi! Che lieto mattinare degli uccelli per i giardini silenziosi!». Dovrò io notare pedantescamente l’aggettivo convenzionale (ubertosa), e la comparazione non peregrina, come sono rinfrescate e rallegrate dall’armonia delle strofe?

Vediamo piuttosto di citare ancora. Ecco, quasi in progressione, tre luoghi dove si vede bene quella che si potrebbe chiamare maniera del Panzini, maniera, dico, se poi non fosse operazione semplice e spontanea dello spirito, che tutto inteso nelle cose che dice, e partecipandone con passione, si cura meno della forma; e talora la accetta, abbiam veduto, anche incompiuta o scheggiata; ma quando gli riesca felice, pur la sente e ne va lieto. Cominciamo dal grado più basso.

«Ma la notte susseguente dissipò le nubi e la pioggia, e il mattino scintillava sul piccolo borgo e sui monti con grande purezza». Qui non c’è nulla di singolare; ma c’è l’abito e la cadenza armoniosa, il disegno semplice, le parole schiette; è la forma di quello spirito nella sua purità. Dopo troviamo questa semplicità più animata; la voce si alza un poco parlando e si scalda; e poi risiede pacata. «Il monte su cui sorge Macerata divide la valle del Potenza da quella del Chienti e noi, lasciata a manca la città, in quella valle scendemmo per una una via bellissima, larga e tutta indorata dal tramonto. Delizioso era l’andare veloce fra le verdi piante, i campi fragranti di messi, lungo il placido fiume! Il paesaggio si svolgeva solenne e nuovo davanti alle ruote e un senso di freschezza ci penetrava nel cuore». Qui è mancato il taglio netto e lo slancio del verso;