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«la fattura» 201

sangue a metter d’accordo l’onnipotenza divina con gli accidenti scolastici.

La sua parola purgata da tutte quelle illusioni e ambizioni che non devono dar più fastidio che la cravatta e le chiome dell’adolescente, ritrova un valore sincero.

In essa non ha luogo nè realismo nè commozione nè afflato panico nè natura nè senso; se non come ornamento puerile. Il quale quando sia rimosso, l’animo resta libero nelle sue ore di ozio di gustare i doni puri.

Perchè la voce e l’accento di Gabriele D’Annunzio, anche quando pare che ripeta le parole degli altri, anche quando compone questa Fattura vana e fredda come una musica di pianoforte meccanico, è una delle cose più belle che l’uomo possa udire nell’universo pieno di rumore.

Noi l’amiamo come un miele diffuso, come un oro liquido e senza forma. E conosciamo anche luoghi dove la sua melodia è più cara.