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Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/275

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228 SCRITTI DI RENATO SERRA

rici, lasciando loro una grazia quasi d’occasione, e più di colore che di fantasia vera. O se è fantasia, ha qualche cosa di più tenue, non vorrei dire più superficiale, che non sia nei veri poeti schietti. È difficile a dire con precisione; ma insomma, questa, per esempio, è un’aurora; non un’alba, come sarebbe in Rimbaud. Ecco: pensate alla unica Alba, nelle Illuminations; e poi sentirete in questa la diminuzione di intensità, il roseo soffice, quasi carnale....

Vedete dal principio:

O justement divinisée, ouvre tes mains
— Aurore aux doigts de rose — et garde tes mitaines:
caresse sur les toits le grésil du matin.
Le froid pique? Hé! voici mon Aurore à la peine.

L’attacco coll’apostrofe retorica par fatto più insipido dal frizzo un po’ troppo voluto, dei mezzi guanti infilati sulle dita di rosa: e tutto il resto è minuto, descrittivo e vivace senza vera fantasia.

Questo ozio alquanto diffuso di descrizione si rivela meglio più sotto, quando il poeta, dal ponte nell’acqua increspata, si volta a quel falcetto di luna che, giusto, pende ancora sulla città, in mezzo al cielo di rosa: e si ferma a ricamare e colorire:

                                   (Oh! la distraite aurore!
Elle a blessé ses doigts au fil d’une faucille
et des roses sanguines s’effeuillent dans l’eau d’or).

C’è del gentile e insieme dell’arcadico in questa immaginazione, dell’Aurora che s’è tagliata le dita al filo del falcetto, e quel roseo piove sull’acqua d’oro: si sente la voglia di dare alla descri-