Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
276 | scritti di renato serra |
Così, sembra un po’ difficile farlo entrare in questo scorcio italiano. La sua influenza, di modello artistico e di maestro spirituale, abbiamo già detto che è, fino a un certo segno, esaurita: da una parte ha perduto ogni personalità, è divenuta una specie di tipo di lingua, di estetismo, di eroismo stilizzato e meccanico che serve a tutto: dall’altra parte poi, in quanto ce ne accorgiamo, comincia a stancarci; e abbiamo sentito il bisogno di liberarcene, di metterla a posto, fra le cose che non cambiano più; sì che egli ha oramai la sua casella fissa tanto come argomento di curiosità nelle interviste e nelle indiscrezioni dei giornali, quanto come campo di esercitazioni critiche obbligate e immutabili, sul tema della sensualità panica, del naturalismo e della inferiorità morale, oppure del genio della stirpe e dell’eroismo latino.
Da questo punto di vista, egli non ha più importanza nella letteratura corrente. Eppure, noi sappiamo tutti che, fra i vivi, il solo che conta è lui.
Che cosa importa il suo distacco dalla cosidetta storia?
Egli se ne va per il mondo come uno dei nostri vecchi maestri prodigiosi, una specie di Cellini venuto al servizio, non del re cristianissimo, ma di una vita avida e inquieta. Egli lavora l’oro e l’argento, il marmo, il legno, il gesso e il cemento, le materie preziose e le più vili, con una indifferenza imperturbata e sfacciata: ed è veramente delizioso, in una età in cui tutti gli snobs e tutte le cocottes non parlano d’altro che di elevazione spirituale e di idealità eroiche, questo spettacolo di un artista che si adopera tranquillamente per il bisogno e per il danaro, per l’oc-