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280 scritti di renato serra

il levante dei crociati e l’erudizione marinara nella Pisanella, i rifiuti del Forse che sì e d’altre cose nel Ferro, adopera tutto, senza riguardo delle origini e delle pretese ideali diverse, a vestire i soliti clichés di lussuria germinata nel sangue, di estasi candida sospirante dalle libidini, di eroismo e di incesto, in cui pare terminato ogni suo artificio inventivo.

Come non si potrebbe pensare che D’Annunzio è finito, quando lo si vede tirar fuori una vecchia esercitazione stilistica, come la Vita di Cola, che ci riporta a una stagione e a un’ambizione così differente, e ingrossarla di prefazioni e di giunte fino alla misura del volumetto da stampare; e scriver delle commemorazioni e degli articoli d’occasione, e raccattar perfino le scaglie e le minuzie cadute nell’officina, cercar nei cassetti 4 pezzi di carta, le pagine sciolte, le note, gli appunti, gli spunti non sviluppati e non messi in opera, per sciorinarli in pubblico?

Eppure, egli di rado è stato così felice.

Intendiamoci bene; non parliamo adesso della sua felicità espressiva; del miele, dell’oro che cola dalla sua bocca per necessità di natura quando la apre a parlare; e dica pure le più false e tediose cose del mondo. Quella è una qualità, fino a un certo segno, uguale in tutti i momenti; e non sarebbe difficile riconoscerne la presenza anche in codeste cose più cattive, di cui abbiamo descritta la moralità secondo l’impressione comune. Ma è una presenza, se così posso dire, muta; e sopra tutto inutile; come un portento vano; il carattere e l’accento del lavoro è nelle altre parti.

Invece in queste cose scritte un po’ a caso, mandate una dopo l’altra a un giornale che le