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282 scritti di renato serra

l’attimo, il rumore del ferro sui pini, la luce sulle sabbie e il cielo sull’oceano, una cagna che partorisce. Ma gli episodi son quasi tutta la materia dell’altra prefazione, che si direbbe rilassata, mal cucita intorno a un pezzo sull’arte latina della biografia, tutto pomposo nell’estetica che rimonta al Fuoco, a cui si attaccano i ricordi fiesolani, le cavalcate, la stalla, il canile, e poi un lungo bozzetto sulle letture di Crusca, infine una delle solite professioni di orgoglio e di ardire sovrumano. Se non che in questa debolezza di composizione, che è il segno della fretta, è la grazia delle pagine che se ne vanno sole, vive e liete, con una freschezza melodiosa che vince e fonde ogni rigore di linguaggio squisito, e allontana l’uggia dei misteri vacui.

Son le pagine in cui passano quei motivi lirici staccati dai testi di lingua, il governo dei cavalli e dei cani, la pioggia sui cipressi e sui lauri, l’albore della luna sui muri graffiti: hanno i cominciamenti e il tono consueto, ma proseguono con una certa volubilità che non ha dinanzi a sè nessuno schema, non ha altro scopo che rappresentar quel momento e compir quello spazio; e così fanno con una rapidità che odora come nei lauri percossi dall’acqua improvvisa.

In somma son pagine da aggiungere alle Faville del Maglio, nella serie che comprende assolutamente anche il romanzo della Leda. Il quale non importa se sia introdotto e risolto con l’artificio meccanico dei soliti romanzi dannunziani; questa è la cornice, il principio e la fine; in mezzo stanno cose scritte e sentite come più vive tra le «faville».

Le date ci mostrerebbero veramente un intervallo di parecchi anni. Ma non bisogna badarci