Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/354

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le lettere 307

venga fuori. Torneremo più tardi su qualche episodio, come curiosi del costume.

Ripetiamo, intanto, qualche nome, che una volta o l’altra suonò meglio al nostro orecchio: Siciliani, Lipparini, Bontempelli....

Se ci volessimo servir dei versi per dir bene degli autori, l’impresa sarebbe facile: anche in semplici esercitazioni metriche si può sentire, e ammirare con più diletto forse che in altre cose, l’ingegno e il gusto e le litterae di uno scrittore.

Ma dei versi per sè soli, che dire?

A Lipparini soltanto è capitato di scrivere una cosa buona — secondo la natura e il potere suo quasi perfetta — in uno di quei momenti felici che la pazienza e il talento possono sempre trovare, anche in un artista di second’ordine: i Canti di Melitta. Del resto egli è più freddo e castigato degli altri. Siciliani ha una certa forza severa, senza sapore letterario vero e proprio; con delle asprezze e delle stonature che meravigliano in un amico dei classici: dei quali tuttavia il beneficio si sente nella semplificazione dello stile, che gli ha permesso di scrivere un romanzo robusto.

Una certa personalità tenue, ma pur varia e abbastanza piacevole, mostrava meglio di tutti, nei suoi principii, Massimo Bontempelli: scriveva delle Ecloghe e delle Odi, poesia naturale di uno studente di filologia e di un professore giovine, errando coi suoi libri e con la sua letteratura modesta e alquanto ironica di ginnasio in ginnasio; non aveva doni di passione profonda o di squisitezza (B. è uno di quelli, come tanti fra noi, che tendono al classicismo attraverso una educazione letteraria imperfetta), ma un sentore lieve degli uni e degli altri. Cose forse che passano come si