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il giudizio 119


una volta bassa che pare ti caschi sul capo: nell’inverno vi si agghiaccia, nella state pare di essere in un forno.

Avemmo da scrivere per le nostre difese: ed io in quell’antro freddissimo passava i giorni a scrivere memorie per l’avvocato e pei giudici. In alcuni giorni della settimana dopo il mezzodí passavo al carcere dei nobili nella stanza dell’ispettore, e quivi vedevo mia moglie, e il mio Raffaele, e talvolta ancora quella cara bambina tanto ammalata e pure tanto bella. La stanza dell’ispettore era aperta, fuori erano i custodi, dentro noi soli, e potevamo parlare senza testimoni. Lí mia moglie mi raccontava quei dolori, che non mi aveva scritto mai, e che io non posso neppure ricordare perché mi trema il cuore anche a ricordarli dopo tanti anni. Ella mi diceva: «L’unica persona che mi accoglie coi riguardi dovuti a la sventura è il presidente Marcarelli: egli solo mi dice parole di conforto, ed è un galantuomo. L’ultima volta mi ha detto che dopo l’impinguamento del processo alcuni giudici vedono bene la causa, specialmente il barone Buonanno che è commessario. Il solo presidente Girolami è un vecchio cane che ringhia sempre, e dice: ‘Sí, quelle carte le ho scritte io, sono di carattere mio! Come si distruggono quelle carte?’» Io allora dissi: «Se il Marcarelli può farmi avere un autografo del Girolami col nome e cognome, un autografo di una decina di righe, io gli farò fare una lettera settaria tutta di carattere del Girolami scritta e sottoscritta da lui, e non ci avrá che dire». Il Marcarelli approvò molto il mio disegno, e dopo alquanti giorni ebbi da mia moglie l’autografo: sul quale con un poco di studio raccozzando le sillabe e le parole formai una lettera furiosa che parlava di setta. E fatto chiamare mio fratello Peppino, che pochi mesi dopo il mio arresto aveva lasciato Catanzaro, e con la sua famiglia e con Alessandro era in Napoli, a lui affidai la faccenda di trovare un calligrafo che scrivesse la lettera inventata da me, imitando il carattere dell’autografo che gli consegnai. E Peppino puntualmente trovò un calligrafo che per sei ducati gli fece dieci copie della lettera imitando benissimo il carattere del Girolami. Due copie