Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. I, 1934 – BEIC 1926061.djvu/173

Da Wikisource.

il 1847 167


sangue, consideri che la causa nostra è causa di civiltá e di religione; che Dio e il suo vicario parlano per noi; che la bilancia italiana deve necessariamente equilibrarsi; che né normanni, né svevi, né angioini, né durazzani, né aragonesi furono piú di quattro che frenarono il napolitano cavallo, ed egli potrebbe essere il quarto ed ultimo de’ Borboni; che quest’anno ’47 è stato per quattro secoli terribile nel regno; che le opinioni sono piú forti dei cannoni; che tra i soldati ci è popolo ed uomini che pensano, soffrono, e parlano; che l’Europa e Dio ci guardano ed attendono; che chi si oppone al corso eterno delle cose e delle opinioni rovina irreparabilmente. Non sono minacce ma consigli. Troppo sangue si è sparso: se ne vorrá altro, gli ricadrá tutto sul capo: il mondo saprá che noi siamo stati disperatamente provocati.»

E appresso a questa scrissi una lettera a Pio IX, una lettera ai soldati dell’esercito e della marina e non le ho piú. Le scrivevo da me, senza incarico, senza consiglio, senza saputa di nessuno: le davo a copiare a due giovani senza dir loro chi le aveva scritte, e quei le diffondevano. Pareva una legione, ed era io solo. Ma l’eran carte, non altro che carte!

Dopo alquanti giorni si seppe che nel teatro di Palermo e nel pubblico passeggio era stata un’altra dimostrazione di popolo assai piú numerosa, onde fu deciso di rispondere la sera del 14 dicembre. Io avevo parecchi scolari calabresi, tra i quali Cesare Correa di Catanzaro, a me carissimo, ed altri tre giovani di Gioiosa, Errico d’Agostino, Vincenzo Lucá, Raffaele Palermo i quali avevano conosciuti quei cinque di Gerace, e me ne parlavano sempre, ed erano accesi di sdegno. Io dissi loro: «Ci vedremo il 14». E in quella sera furono moltissime persone, e si gridava ancora: «Viva Palermo e la Sicilia». Ed ecco comparire gli sbirri, ecco i commessari Campobasso e Morbillo, e un menar di mani, di bastoni, di stocchi. Il Correa menò botte da orbo, ne toccò, ma ne diede, e si salvò. Un nipote del Morbillo stava per venire ai ferri con lo zio. Grida, arresti, colpi, un parapiglia. Sopraggiunsero altri armati, e la via Toledo rimase vuota: ma il fatto era