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12 parte prima - capitolo ii


ho potuto saper mai come diamine sparí il capitano de’ lancieri, che era con lei nella cappelluccia e non fu veduto né mentovato dai fanciulli.

Quel mio prefetto adunque andò anch’egli a San Nicola, e intinto un fazzoletto bianco nell’olio d’una lampada che ardeva fra tante innanzi la madonna, me lo portò e disse: «Metti questo sugli occhi, recita tre avemarie, abbi fede, fede viva, ed aspetta il miracolo». Feci come ei volle, ed aspettai un pezzo: ma debbo dire che ebbi poca fede; e forse per manco di fede mi trovo manco buoni gli occhi.

Fra i compagni io mi strinsi in amicizia con Luigi de Silva, giovanetto di molto ingegno, e piú innanzi di me negli studi. Ragionavamo sempre delle antiche storie e degli antichi uomini di Roma, e ci pareva di essere nati troppo tardi in un’eta di poltroni e di servi. I compagni, noiati delle nostre sentenze, ci davano la baia e ci chiamavano i dottorelli. Io non la potevo inghiottire, e mi sentivo pungere non tanto per me quanto pel mio De Silva, che era piccolino di corpo, ma grande d’ingegno; sicché un giorno perdetti pazienza, menai di buone pugna e ne toccai: ebbi un castigo, ma nessuno piú mi disse in viso quella parola. Il De Silva mi leggeva spesso certe sue traduzioni delle piú belle odi di Orazio, e luoghi di Livio, e versi latini che egli scriveva facilmente. Io lo ascoltavo con ammirazione, e vidi che talvolta da un compagno si apprende meglio che da un maestro! Leggevo libri latini, e dove non intendevo, ne domandavo lui: e cosí in breve tempo intesi mediocremente il latino, e tirai giú il primo epigramma, che mandai a mio padre.

Ero lieto di que’ miei studii, e fui piú lieto ancora della compagnia del mio diletto fratello Peppino, che entrò anch’egli nel collegio: ma indi a pochi mesi ci sentimmo colpiti da un fulmine, perdemmo nostra madre. Oh! quello fu dolore che non ho dimenticato mai, ed anche oggi dopo tanti anni e tante ferite che porto su l’anima io non posso ripensare a quell’angelo della madre mia senza lagrime. Ella si morí sopra parto, di trentasette anni, il 14 marzo 1825, e non ci rivide