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la rivoluzione del 1848 187


opposta ogni resistenza, avrebbe fatto il peggio, come fece, e se si fosse data un’occasione si sarebbe unito all’Austria. O bisognava rimaner napoletani, senza pensare all’Italia, e stare contenti a lo statuto del 10 febbraio senza andare piú in lá: o volendo combatter l’Austria e dilargar lo statuto bisognava cacciare Ferdinando, almeno ritorgli di mano tutto il potere che aveva su l’esercito, e lasciargli non altro che il nome di re. Egli aveva ragione quando diceva: «Lo statuto è giurato: bisogna mantenerlo intatto. Che direste voi se lo violassi io? e che debbo dire io se lo violate voi e dopo pochi giorni senza pure aspettare a vederne gli effetti?» Aveva ragione allora, ma quando poi lo violò egli, anzi lo annullò, fece vedere chiaramente che egli allora mentiva, e che il popolo giustamente diffidava di lui. In quelle agitazioni egli ricercò di consiglio il generale Carlo Filangieri, figliuolo d’illustre padre, rispettato per imprese di guerre al tempo di re Gioacchino, uomo di molto ingegno, e astuto, ma negoziante fallito, e però non piú pregiato dalla parte liberale come ei voleva. Costui disse al re: «Fate fare tutto ai ministri, voi fingete cedere ad ogni dimanda: una cosa dovete far voi, stringere a voi le milizie, e separarle dal popolo, anzi irritarle contro di esso: lasciate crescere il disordine e l’anarchia, anzi versate olio sul fuoco: ché quando il disordine sará intero, pochi uomini ordinati opprimeranno tutti: per tornare al servaggio bisogna abusare la libertá». Il re si valse del consiglio, e rispose: «Mi hanno canzonato con le chiacchiere: questo mi duole piú di ogni altra cosa. A suo tempo risponderemo coi fatti».

In uno di quei giorni Carlo Poerio mi disse: «Tra il popolo che grida, il re che inganna, e i ministri che non sanno quello che fanno, un galantuomo non ci può stare. Stamane ho dato la mia dimissione: e ti prometto che nella mia vita non accetterò piú mai un uffizio pubblico. Non doveva accettare il ministero, e me ne pento, perché chi ha cospirato con tanti, non può contentare le ambizioni di tanti. Rimani tu al tuo posto finché ti sará consentito dall’onore. Io anderò a la