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VI

Racconto di mia moglie.

 Mio caro e sventurato Luigi,

Con indicibile piacere e dolore ho letto la narrazione che tu mi hai fatto di ciò che soffristi in quei terribili tre giorni. La lettura non mi ha fatto chiudere gli occhi questa notte, mi ha di nuovo squarciate le innumerabili piaghe che porto nel cuore, mi ha fatto sospirare amaramente e poi sono caduta in un’angoscia mortale, e mi si è fatto presente tutto ciò che io feci e soffrii in quei tre giorni. Io non conosceva bene tutto quello che ti avvenne, perché subito dopo che uscisti dalla cappella si comandò che fossi sepolto nell’ergastolo e noi non potemmo scambievolmente narrarci le angosce sofferte.

Ora che tu mi hai fatte note le pene tue, voglio che tu conosca le mie, acciocché la memoria delle nostre sventure resti come ereditá ai nostri figliuoli che un giorno impareranno da noi a soffrire con coraggio e dignitá. Dal primo giorno che divenimmo marito e moglie altro non ricordiamo che carceri, persecuzioni, condanna a morte ed ergastolo: e chi sa quali altri dolori mi staranno conservati! Sí, Luigi mio, io penso al futuro, e quando mi sento l’anima oppressa mi vengono terribili pensieri, e dico tra me: «Sono questi gli ultimi dolori che io soffro? che avverrá di nostro figlio? sará felice, ovvero avrá la sorte del padre? andrò io piú visitando carceri, castelli e galere? udrò piú condanne di morte?» Ahi che a questo pensiero io non reggo. Spesso vado richiamando antiche illusioni per ingannare me stessa, ma vano mi riesce ogni tentativo di consolazione, quei miei tristi pensieri mi tornano sempre dinanzi brutti e scuri.