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LIV

(Malumore).

Santo Stefano, 25 febbraio (1857), 1° di quaresima.

Ieri ho avuto un grandissimo malumore, che stamane mi dura ancora. Che sará? come stai o Gigia mia? come la Giulia? come stará il nostro Raffaele? Questi mali umori che mi vengono senza sapere perché mi fanno temere mille cose.

Il tempo è cattivo, il mare grosso, e forse Colonna non verrá da Ventotene, e non partirá.

Salazar non è venuto ancora: se non verrá fra dieci o dodici giorni, crederò anch’io che sia sospesa la spedizione per l’America. Io sono piú deciso per l’accettare che pel rifiutare: l’ergastolo è cosí terribile che ogni altro male è minore di esso. La mancanza di mezzi non mi spaventa: il divieto di ritornare mi pare impossibile. Attenderò.

Ti mando le traduzioni di Luciano copiate e corrette, e le minute, chiuse e legate in due pacchi distinti. Ti prego di conservarle bene, perché mi costano lavoro, e noie, e fatiche assai. Io non so come si è perduto il quaderno che conteneva Bacco, Ercole, Ippica o il bagno, l’Elettro o il cigno, il Precettore dei retori. Ecco un lavoro perduto. Se ti pare che non si parte, e che debbo restare qui, dí ad Errico che chieda a Cesare D. il settimo volume di Luciano, e me lo mandi acciocché io non perda tempo. Son due anni che ho perduta quella rassegnazione che mi faceva men duro l’ergastolo, mi faceva occupare e lavorare di forza. Ora tutto mi annoia, e sono impaziente di tutto.