Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/19

Da Wikisource.
[299] l'ergastolo 13


Per questa condizione de’ luoghi e degli uomini, gli ergastolani non hanno altro spazio che le celle e la stretta loggia, dalla quale invidiando guardano il cortile dove non possono passeggiare, ed il cielo che è terminato dalle alte mura dell’ergastolo, e che come un immenso coverchio di piombo ricopre il tristo edilizio e ti pesa sull’anima. Se passa volando qualche uccello, oh come lo riguardi con invidia, e lo segui col pensiero e con la speranza stanca, e con esso voli alla tua patria, alla tua famiglia, ai tuoi cari, ai giorni di gioia e di amore, che sempre ti tornano a mente per sempre tormentarti. Ma neppur puoi star molto su questa loggia ingombra di masserizie e di uomini che ti urtano, gridano, cantano, bestemmiano, accendono il fuoco, fendono legne: e poi nel cortile non vedi che condannati trascinare penosamente le sonanti catene, taluno d’essi con oscena voce andar gridando: «Vendiamo e mangiamo»: spesso vedi lo scanno sul quale si dánno le battiture, spesso la barella con entro cadaveri di uccisi. Il vento ti molesta, il sole ti brucia, la pioggia ti contrista, tutto che vedi o che odi ti addolora, e devi ritirarti nella cella.

Ogni cella ha lo spazio di sedici palmi quadrati e ce ne ha di piú strette: vi stanno nove, dieci uomini e piú in ciascuna. Son nere ed affumicate come cucine di villani, di aspetto miserrimo e sozzo; con i letti squallidi e coperti di cenci, che lasciano in mezzo piccolo spazio; con le pareti nere dalle quali pendono appese a piuoli di legno pignatte, tegami, piattelli, fiaschi, agli, peperoni, fusa, conocchie, naspi, ed altre povere e sudice masserizie: una seggiola è arnese raro, un tavolino rarissimo. È vietato ogni arnese di ferro e persino i chiodi, le forchette, i cucchiai, le bilance sono di legno, ed invece di coltellaccio per minuzzare il lardo usano un osso di costola di bue. Con un’industria incredibile fendono grossi ceppi e tronchi di alberi mediante piccolissimi cunei di ferro, non permessi ma tollerati, e però da essi nascosti. Chi non vuole il cibo cotto in comune, e che non è altro che fave o pasta, lo cuoce da sé in fornacette di tufo, che si mettono sul davanzale