Vai al contenuto

Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/190

Da Wikisource.
184 parte terza - capitolo lxvii [470]


Non sottoscrivere dichiarazioni se prima non le leggi due volte. Dí che l’amore ed il dovere di madre e di moglie ti ha tirato in Napoli: e che sei tornata perché non credevi di meritare di morire di stenti in paese straniero. Ah Gigia mia, io giá immagino che sei carcerata, ed il cuore mi si spezza. Chi sa se a quest’ora che ti scrivo, chi sa se questa lettera non ti trovi carcerata! Oh, quando finirá quest’agonia! Ora sí che l’ergastolo mi stanca e mi vince le forze. Guardati bene diletta mia, guardati attentissimamente: sappi che il governo giá avrá saputo che tu non sei piú in Genova, e ti cerca. Guardati, non uscire: ed aspetta tempo migliore. Se mai sei arrestata, chiedi di sapere quali sono le accuse che ti ha dato il console, per poterle spiegare, e non solo difendere te, ma di mostrare al governo quanto sono bestiali e tristi i suoi agenti, i quali per mostrar zelo calunniano il piú santo degli affetti, ed una povera madre che va per aiutare suo figlio, e va col permesso del governo e andò un’altra volta pel figlio stesso, e tornò senz’altro. Nessuno piú di me sa se tu vi sei andata per fine politico, o per guai nostri: e però nessuno piú di me ti può dire: «Di’ schietta la veritá tutta quanta». Di’ pure che speravi di fare stampare la mia traduzione di Luciano: ma non far trovare in casa la traduzione, se no se la pigliano, ed io perdo le fatiche e le speranze. Carte non farne trovare affatto: se no trovano il pelo nell’uovo. Sii attenta, e tieni per certa una visita rigorosissima. Intendimi, abbi giudizio, e cura, e preveggenza. Oh, a che dovevamo essere ridotti! Guardati, Gigia mia, sii attenta, non vedere tanto spesso la Giulia, non ti far vincere dall’affetto, abbi riguardo a te stessa. Non ci posso pensare, ché mi sento morire.

Nelle lenzuola troverai una lettera che farai capitare a Genova sicuramente. Uno di quei giovani sbarcati a Sapri, e condannati all’ergastolo, un giovanotto milanese, che mi ricorda Raffaele nostro, scrive al padre e ad altri per avere un po’ di danaro. Non ha nessuno, e si è raccomandato a me: posso io non udire uno sventurato? Ti mandai un’altra sua lettera, e credo che l’avrai ricevuta. Dimmi se spedirai que-