Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/236

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questa volta. Il povero Barrafaele dopo due mesi, e dando cento ducati di cauzione, potè finalmente uscire di carcere.

Qui finisce il mio processo particolare, il quale comincia dalla denunzia scritta dall’Iervolino il 6 giugno: le altre antecedenti servono per dar principio al processo contro il Poerio, arrestato circa un mese dopo di me, il 19 luglio; il quale esporrá egli e confonderá le stoltissime ed invereconde accuse a lui fatte. Qui io debbo dire che egli dice di conoscere l’Iervolino, perché quand’era direttore dell’interno, questi gli chiedeva un posto, che ei non potette dargli perché non c’eran vacanti: quando egli era deputato, quel tristo gli chiedeva un posto subalterno alla Camera ed egli con lettera lo raccomandò al presidente signor Capitelli. Non avere avuta altra relazione con lui, non averlo mai mandato da me. Lo scelleratissimo uomo si vendette l’anima al Cioffi, che la comperò per 12 ducati: cominciò dal calunniare chi gli aveva fatto bene e non aveva potuto fargliene maggiore: poi si prestò a tutte le voglie, fu strumento di tutte le vendette.

Ecco la sostanza del mio processo, dal quale non risulta altra pruova contro di me, se non un’assertiva che può essere smentita da un’altra assertiva; un’assertiva di un malvagio la quale è solennemente mostrata falsa da tutta la vita di un uomo onesto; un’assertiva di una spia salariata a cui la legge stessa comanda che non si presti fede1. E nessuno gli prestava fede, e la polizia stessa vedeva e sapeva la nullitá del processo: onde non faceva istruzione su i libelli, non incarcerava alcuno dei nominati in essi, neppure quel Federico d’Ambrosio, che l’Iervolino accusa di averlo ascritto nella setta; il quale di poi e ben tardi fu arrestato, ma per esperimento, e per altra cagione, e presto liberato. Io potrei dire: «Infine Iervolino che pruove dá che io gli ho consegnato un proclama? nessuna. E perché si dee credere a lui e non a me che sono un onesto uomo»? Ma questo dire potrebbe lasciare un dubbio nell’animo di chi vuol sapere netto il vero; se la non curanza di un solerte commessario, le denunzie stesse copiate dall’Iervolino, l’essere egli considerato come testimone, mentre apparisce complice, e il non esser mai venuto a me innanzi, non

  1. Procedura penale, art. 202. A pena di nullitá non possono essere ammessi a deporre nella pubblica discussione; 1. gli ascendenti ecc.; 2. il denunziante la cui denunzia è pecuniariamente ricompensata dalla legge.