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CAPO IV

sguardo generale sul processo

Gettando uno sguardo sopra tutta la immensa mole del processo, si vede che tra le denunzie e le confessioni, tra gl’indizii, gli artifízii, e le pruove sorge una pruova gigantesca, scorgesi un gran fatto che genera tutti gli altri, odesi una voce generale ed uniforme: che tutto quello che si dice avvenuto, è avvenuto perché si voleva togliere la costituzione; che la stessa esplosione avvenne per impedire una dimostrazione anticostituzionale. Se si vogliono ritenere i fatti se ne deve ritenere ancor la cagione ch’è questa: se il fatto è reo, piú rea è la cagione che lo produce: e se non si rimuove questa cagione è inutile punire questi fatti, che ne nasceranno altri piú gravi. È tristamente vero che le cose umane sono governate dalla forza, e che quando un partito vince opprime l’altro senza guardare a diritto o a giustizia, parole inventate dai deboli ed usate in pace. Ma la pubblica opinione è anche forza, e la storia che registra i giudizi delle nazioni e dispensa l’onore e l’infamia ha qualche potenza che non hanno i cannoni. Un giorno si saprá con orrore che nel nostro paese una fazione retrograda e stoltamente nemica di se stessa, del principe e della nazione, ha congiurato e congiura per rovesciare la costituzione; e bestialmente sdegnandosi contro quelli che a lei si oppongono, li accusa di cospirazione contro quel governo che essa cerca di abbattere, li chiama con quei nomi che convengono a lei, li giudica con quella legge che condanna lei, li condanna a quella pena che essa dovrebbe subire. Questo fatto sorge luminoso e grande sopra tutto il processo, ed esso solo basta per annullarlo, e rivolgerlo non contro i quarantadue accusati, ma contro i nemici del principe e del paese che compongono la fazione retrograda. E sebbene questa fazione sia una setta, e come tale dovrebbe essere punita; pur non dimeno se quelli che a lei si oppongono hanno scelto il mezzo della setta, questo mezzo è reo, e deve essere punito. Io non nego né affermo l’esistenza della setta dell’Unitá italiana; quantunque potrei dire che i denunzianti ed i confessi, se togli l’Iervolino, non parlano di giuramento, senza il quale la legge non riconosce setta; che le riunioni non sono provate, o almeno non hanno carattere settario: io affermo e sostengo che io non