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Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/74

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68 parte terza - capitolo xiv [354]


come tetragono ai suoi colpi, ma vincerla no. Dovrò cadere certamente: cadessi almeno come gli eroi della poesia greca che soccombevano al fato, e cadevano gloriosamente! La gloria non mi fu destinata: io nacqui solamente per patire. Chi sa se potrò compiere questa mia pesantissima fatica! e se compiutala, avrá la sorte di riuscire buona e di darmi un po’ di fama? E che fama sará quella di buon traduttore? E chi saprá quanto mi costa, come l’ho fatta, con quali mezzi, in qual luogo, tra quali spasimi? Che importa di tutto questo ai leggitori, i quali riguardano solo all’opera, e non vogliono saper come è fatta? Ma e che importa a me de’ leggitori, della fama, e del mondo? Se ho perduto ogni cosa, se mi hanno tolto la pace, la famiglia, l’aria, il moto, il cielo, e m’han gettato in un sepolcro, debbo io serbare ancora illusioni, e cercar la gloria, che è l’ultima camicia di cui si spoglia il savio, come fu detto? Fo questa fatica per occupare la mente e non farla inselvatichire stupidamente: l’occupazione mi giova, perché mi fa sentir meno l’ergastolo: dunque la fo per me: se la gioverá anche agli altri, mi piacerá di aver giovato agli altri anche dal luogo dove io sono: se no, tanto meglio, avrò giovato a me solo.

Ma pognamo che io faccia una buona traduzione, avrò io fatto bene a vestire all’italiana un greco che non credeva a nulla e si rideva di ogni cosa, e, come alcuni lo chiamano, un empio beffatore? Una traduzione di Luciano (ponendo da banda le cose che offendono il pudore e i costumi presenti) sarebbe ella un’opera utile, non dico per la leggiadria dello stile, ma per l’importanza della materia? Di questo voglio discorrere piú ad agio1.


  1. Vedi Discorso su la vita ed opere di Luciano, Firenze, 1861, Felice Le monnier.