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[371] gennarino placco 85


ingegno vivo e facile, scrive bei versi: facilmente ha appreso il francese e l’inglese dai compagni dell’ergastolo: non c’è faccenda da cui non sappia cavar le mani, non c’è bisogno d’amico a cui egli non corra, volentieri rende servigi a tutti, è sempre operoso, sa molto fare, poco parlare; sdegnasi se alcuno lo ringrazia di alcuna cosa che egli fa. Scrive, legge, copia scritture d’amici, purché abbia da fare, è contento. Pretende d’essere astuto e malizioso, ma la sua è malizia di seminarista, è acume di giudizio che non è esercitato né in molte cose né in malvagitá.

Non cape malizia in un cuore come il suo, senza superbia, senza pretensione alcuna. Fra gl’ignoranti non ha spaccio di sapere, come molti fanno che non vergognano di volere ammirazione dagli stolti: con le persone colte non si smarrisce, né si fa disprezzare; facile con tutti, è sempre desso, schietto e semplice. Del mondo, degli uomini e delle cose non conosce altro, se non quello che ne ha letto sui libri, o ne ha veduto in un cerchio di poche miglia intorno il suo paesello, il quale, come tutti gli altri albanesi del regno, è rimasto nello stato di tribú, ancora mezzo barbaro: nell’ergastolo egli ha vedute, udite ed imparate molte cose a lui prima sconosciute del tutto, né nasconde questa sua ignoranza, ma ne ride, e cerca sempre di apprendere ogni cosa da chicchessia. Un giorno io comperai un’aligusta, che non ne aveva veduto mai, ne fece le meraviglie e le risa grandi: la ghermí, mentre batteva, la guardò, la considerò attentamente, ne dimandò tante cose, né si persuadeva che la si potesse mangiare. Un altro dí mi diceva: «Se io dovessi menare una donna, una signora a braccetto io morirei di confusione. Oh che le dovrei dire? e come potremmo camminare?» Un’altra volta mi portò a vedere un passerino che uscito la prima volta dal nido che era in mezzo dell’ergastolo gli era caduto innanzi ai piedi. «Povero passerino», gli dissi io: «è simile al povero Gennarino che al primo volo che spiccò dal nido cadde nell’ergastolo». «Sí davvero», mi rispose, «e lo voglio educare, perché la sorte sua è simile alla mia».