Pagina:Sino al confine.djvu/219

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dalla mano si spandeva per tutte le membra. Il sonno e l’immobilità di Francesco le davano fastidio e quasi la offendevano. Come egli poteva dormire, dopo quanto era accaduto? Ella ricordava il modo con cui egli trattava i malati e pensava:

— Che cosa contano due o tre vite umane per uno scienziato? Zio Sorighe era vecchio, logoro, malato: e anche l’«altro! L’altro doveva finire così!»

Ma ad un tratto le parve che ella pensasse così per confortarsi, più che per scusare la calma di Francesco, e di nuovo cominciò ad accusarsi, cercando i ricordi più lontani e pietosi che potessero farla soffrire. Rivedeva il vecchio guardiano nella vigna, lo sentiva cantare e ripetere il solito ritornello. Egli le aveva voluto bene: ed ella lo aveva fatto morire. Poi pensava a Luca ed alle sue accuse insensate. Che penserebbero sua madre e Paska, se sapessero? Ancora una volta, forse, la crederebbero capace d’istinti omicidi...

Più tardi ella cominciò a vaneggiare. Il suo polso batteva irregolare e violento, e i suoi occhi spalancati avevano una lucidità opaca.

A un tratto si mise a cantare con voce rauca e incerta il ritornello

Su sordadu in sa gherra.


Francesco aspettava la crisi, tranquillo in apparenza quasi quanto quel soldato in guerra