Pagina:Sino al confine.djvu/237

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lebrò messa nella chiesetta. Era magrissimo, ridotto quasi ad uno scheletro, e pareva molto vecchio, con gli occhi cerchiati e il viso divorato dalle passioni; ma si mostrava allegro e rideva continuamente, guardando di qua e di là con irrequietudine nervosa; e dopo aver celebrato la messa con una rapidità che meravigliò zio Sorighe, volle ispezionare le casse dove si conservavano i paramenti e gli oggetti preziosi. La sagrestia comunicava con la stanza del guardiano. Era una cameretta a vôlta, con un finestrino alto munito d’inferriata, sul cui davanzale il vento faceva oscillare un cranio d’uomo giovane dalle mascelle sporgenti e la dentatura intatta. Guardandolo, mentre si spogliava, Priamo aveva l’impressione che quell’avanzo umano vivesse ancora e gli facesse dei cenni. A un tratto si slanciò verso il finestrino, col braccio teso e la mano aperta, ma non riuscì ad afferrare il cranio. Allora si volse irritato verso zio Sorighe, che apriva le casse, e gridò:

— Bisogna levarlo! Sotterrarlo.

Il vecchio guardò il cranio e rispose tranquillamente:

— C’è da quando ero bambino io.

La cassa esalava un odore di canfora che nauseò Priamo: sembrava un odore di cose morte, serbate in qualche sarcofago seppellito fra le roccie come un tesoro preistorico. Il vecchio sollevava i paramenti rossi e do-