Pagina:Sino al confine.djvu/277

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preda, lo afferrava, lo scuoteva, lo esaminava, lo interrogava, quasi dipendesse dal malato stesso la rivelazione del male e del conseguente rimedio. E fuori del suo gabinetto egli non parlava più di malati nè di malattie, corno uno che nutre una passione profonda ma non la partecipa a nessuno.


II.


La zia Itria stava nel suo cortiletto umido e caldo, e faceva un «solitario» con le carte sucide e odoranti di vino, quando vide entrare e avanzarsi Gavina, elegante, vestita di bianco, ben pettinata e con le sottane sollevate sulle scarpe chiare. Il cortiletto fosco, dall’alto muro umido coperto d’erbe e di gramigne, parve illuminarsi. La vecchia si scosse, ma Gavina le mise le mani sugli omeri e la costrinse a star ferma sulla sua larga scranna dal fondo di legno, mentre con un cenno del capo salutava il nano, il cui visetto malizioso appariva nel vano della porta. Egli si avanzò fino a metà dell’andito ingombro di sacchi colmi: ma l’indice della zia Itria, gonfio come un salsicciotto, si mosse minaccioso, e l’ometto spari.

— Malanno che li colga, non mi lasciano un momento in paco! Siediti, bellina. Non ti macchierai il vestito, spero; ti sei messa troppo