Pagina:Sino al confine.djvu/317

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Gavina cominciò a turbarsi. — È pazza davvero! — pensò, ma riprese pacatamente:

— Ti sei sbagliata, Michela! Perchè dovevo ridere? È Luca che ti ha messo in mente queste idee?

— Che c’entra Luca? Lascialo in pace. Egli è abbastanza disgraziato, e anch’io sono abbastanza disgraziata: non ci molestare; non mettere il piede sul cane che dorme!

— Tu parli preciso preciso come lui! Le stesse parole!

— Siamo pazzi entrambi, a tuo parere; dobbiamo parlare nello stesso modo! Tu sei savia, sei contenta, sei grassa... Ah! ah! perchè t’immischi nei nostri affari? Tu resta con la tua contentezza; noi ce ne staremo con la nostra miseria.... Non abbiamo più nulla da dividere.... non ho più nulla da dividere con te!

Gavina capì la triste allusione, e giunse le mani sul grembo e abbassò la testa, scuotendola alquanto; e pareva fosse lei, fortunata e felice, a implorar grazia davanti a quell’altra che si dichiarava disgraziata e miserabile. Ma dopo un momento si scosse.

— No, non sono venuta qui per sentirti dire queste cose, Michela. Sono venuta per visitarti. Se fosse vero tutto quello che tu pensi, non sarei qui. E non è la mia prima visita, questa...

— E speriamo sia l’ultima! Ti ho forse cercato, io? No, tu sei venuta, ti sei seduta.... sei venuta per riderti di me: altrimenti non